venerdì 26 novembre 2010

Rifiuti, la contro-inchiesta/3

Caro Direttore,

in questi mesi, ha trovato giustamente spazio sui quotidiani locali napoletani e, in alcuni casi, anche sulla stampa nazionale, la notizia dell'avvio della collaborazione con la giustizia di Gaetano Vassallo, l'ex ministro dell'Ambiente del clan dei Casalesi. Una collaborazione che ha consentito l'avvio di importanti inchieste contro l'ecomafia casertana e lo scoperchiamento di quel verminaio immondo in cui faccendieri di ogni risma vanno a braccetto con amministratori locali e criminali per insozzare il nostro territorio. C'è un particolare, però, che purtroppo non viene sottolineato a sufficienza a proposito delle organizzazioni criminali che si occupano di rifiuti. E cioè le difficoltà che gli organi inquirenti e la magistratura si trovano ad affrontare quando s'imbattono in un filone investigativo particolarmente interessante, vuoi per mancanza di adeguati strumenti legislativi, vuoi per una condizione di sostanziale isolamento rispetto agli altri attori in scena (politica, imprenditoria, alta burocrazia).
Prendiamo il caso di Vassallo, ad esempio. Il colletto bianco dei clan ha indicato i luoghi dove i tagliagole casertani hanno sversato migliaia di tonnellate di rifiuti, ha fatto i nomi dei suoi complici, ha denunciato i suoi dieci fratelli, colpevoli – come lui – di aver avvelenato ettari ed ettari di campagna, ha tirato in ballo l'ex sottosegretario Nicola Cosentino nell'affaire, indicandolo come uno dei capi della cricca che, attraverso la politica e la camorra, fa soldi con la monnezza, ha raccontato (e questo fa bene Roberto Saviano a ricordarlo) come finanche i topi morissero in prossimità dei siti illegali di sversamento, ha alzato il velo sulle ricchezze accumulate dalla holding rifiuti spa, qualcosa come quaranta milioni di euro. Tutto questo ha detto, Vassallo, nei suoi interrogatori tra 2008 e 2009, sollevando un coro unanime di indignazione e di incredulità nell'opinione pubblica locale e nazionale. Possibile che Vassallo sapesse tutto questo? Possibile che in Campania accada tutto questo? Possibile che nessuno prima se ne sia accorto?
Eppure, Gaetano Vassallo non è un nome nuovo per chi si occupa di inchieste giudiziarie e non avrebbe dovuto esserlo nemmeno per quelli che, per almeno venti anni, lo hanno lasciato libero di pascolare su e giù per Caserta a seminare morte e malattie.
Di lui si sa parecchio. E già da tempo. Nel giugno 1992, Vassallo viene arrestato nell'ambito di un'inchiesta su trafficanti di droga e di armi. A parlare di Vassallo ai pm, a quel tempo, è proprio un pentito che lo accusa di avere rapporti malati con alcuni sindaci del Casertano, rapporti confermati anche da alcune intercettazioni telefoniche che lo dimostrano in ottimi rapporti con i politici locali. Un anno dopo, e siamo al 1993, la maxi-inchiesta Adelphi apre uno squarcio sul business delle discariche abusive. E chi finisce diritto diritto nelle 4mila pagine dell'informativa dei carabinieri? Proprio Gaetano Vassallo, indicato – già allora – come trait d'union tra la politica e la criminalità organizzata. Tre anni dopo, Vassallo viene condannato a due anni e sette mesi di reclusione, a fronte di una richiesta di sette anni avanzata dal pm. Ovvio che, uscito dall'aula di tribunale, il ministro dell'Ambiente dei Casalesi ritornasse in gioco; e ci vorranno altri quindici anni perché venga messo all'angolo, e con lui smantellato l'impianto infernale messo in piedi dietro il paravento della gestione di una discarica a Cesa, un paesino dell'hinterland casertano, dove lo stesso Vassallo è stato per lungo tempo consigliere comunale.
Questo che cosa significa? Che l'intuito investigativo aveva visto giusto, e lungo, e che – forse forse – si poteva risparmiare alla martoriata Campania (in)felix un decennio e passa di avvelenamento, e che non sarebbe male ascoltare l'appello che il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, ha rivolto al mondo della politica: prevedere il reato associativo ambientale. Una richiesta che il capo dei pm antimafia italiani ha esplicitato, ufficialmente, il 17 giugno 2009 nel corso di un'audizione davanti alla Commissione d'inchiesta sul ciclo rifiuti, e che prevede di far rientrare il traffico di rifiuti nella competenza della Direzione distrettuale antimafia una modifica dell'articolo 51, comma 3bis, del Codice di procedura penale. Si tratta di una modifica capace di attribuire ai pm antimafia la competenza sui reati connessi al ciclo dei rifiuti, mentre gli altri reati resterebbero attribuiti alle singole procure. In questo modo, si consentirebbe anche di recuperare alle indagini l'uso delle intercettazioni telefoniche in materia, che non sempre è possibile utilizzare, se non si riesce a dimostrare la riconducibilità dei traffici alla criminalità organizzata. E – l'esperienza dimostra – che quasi mai i camorristi gestiscono in prima persona un affare tanto grosso, su cui tanti, troppi hanno costruito fortune personali ancora oggi invisibili.
(Pubblicato su "Il Tempo", 26 novembre 2010)

Rifiuti, la contro-inchiesta/2

Caro Direttore,

la questione rifiuti in Campania, e su questo non si può non essere d'accordo con Roberto Saviano, non è certo un'emergenza, ma – purtroppo – una condizione di (a)normalità, che si trascina secondo la vulgata comune, cui lo stesso Saviano attinge per dare forza alla sua narrazione, da almeno sedici anni, da quando cioè è stato decretato per legge lo stato d'allarme.
In realtà, senza scomodare Il ventre di Napoli di Matilde Serao o i racconti tardo ottocenteschi sulla Napoli umiliata dal colera e dalla sporcizia, basterebbe soffermarsi sulle poche frasi seguenti per comprendere quanto il problema igienico-sanitario, nella nostra città, sia tutt'altro che storia recente. Flash nr1: “La mancata consegna dei sacchetti per la raccolta della spazzatura sta causando notevoli disagi tra la cittadinanza. Molti abitanti sono costretti a gettare i rifiuti nelle strade, avvolti in carta straccia. E ciò con grave pericolo per l'igiene pubblica. Stamani, alcune strade del quartiere Chiaia – tra i più noti ed eleganti della città – sono apparsi imbrattati di cumuli di spazzatura in ogni angolo”.
Flash nr 2: “Tonnellate di rifiuti solidi urbani sono rimasti abbandonati nelle strade, in seguito all'astensione dal lavoro degli addetti all'autoparco di via Gianturco. La mancata uscita degli autocarri, la notte scorsa, ha provocato in mattinata grave disagio agli abitanti del centro storico, di quelli della zona nord e della parte orientale della città. A Secondigliano, a Marianella i cumuli di rifiuti hanno raggiunto in alcuni casi il metro d'altezza. L'autoparco di via Gianturco è dotato di oltre 100 autocarri che compiono il servizio di raccolta su un'area molto vasta […] in serata sono aumentati i disagi perché – anche in occasione della festività di Sant'Antonio Abate, protettore degli animali – è stato appiccato il fuoco a numerosi contenitori per immondizia sulle strade cittadine e periferiche. Le fiamme, che in alcuni casi hanno raggiunto notevole altezza, hanno causato situazioni di pericolo. In una strada della periferia, i vigili del fuoco sono stati contrastati nella loro opera da gruppi di scalmanati che hanno preso a sassate, danneggiandole, alcune autobotti. La polizia ha fermato alcune persone, che ha poi rilasciato. Per la situazione venutasi a creare in città per le tonnellate di rifiuti solidi sulle strade in molti hanno telefonato ai giornali e ad altri organi di stampa e alle televisioni, chiedendo, come per il traffico, l'intervento del prefetto”.
E, per concludere, flash nr 3: “Anche oggi la rimozione dei rifiuti a Napoli procede a rilento a causa dell'alto numero di automezzi, circa duecento, fermi per guasti meccanici. I contenitori, posti in tutte le strade di Napoli, sono ancora per la maggior parte pieni di spazzatura”.
Sembra la descrizione della città oggi, o una settimana fa. Al più, potrebbe sembrare la descrizione della città di sedici anni fa, quando è esplosa l'emergenza immondizia a Napoli. In realtà, si tratta di tre stralci di altrettanti articoli, pubblicati dai quotidiani partenopei, rispettivamente il 19 febbraio 1981, il 17 gennaio 1982 e il 4 marzo 1984. Occhio e croce, almeno trent'anni fa. Ieri come oggi, nulla è cambiato. Dunque, questo che cosa significa? Che l'affaire rifiuti ha radice antiche e profonde, di cui la camorra è soltanto uno degli aspetti deteriori e, sicuramente, tra i più pericolosi.
Se in Campania siamo arrivati a coprirci di spazzatura e di vergogna, davanti al mondo intero, è perché chi doveva controllare, chi doveva programmare, chi doveva gestire, chi doveva assicurare la funzionalità dei meccanismi non l'ha fatto. Per dolo, o per colpa. Poi, è arrivata la camorra. Poi, il crimine organizzato è subentrato, insinuandosi nei sinuosi e peccaminosi risvolti della burocrazia e dell'amministrazione pubblica che, con la Bestia, sono scese a patti. Ma se non si distingue, nettamente, la responsabilità politica da quella dei tagliagole della camorra, allora non si va lontano. O si rischia, al più, di generare confusione, anche se in buonafede.
Certo, fa bene Saviano a parlare dell'ecomafia casertana davanti a milioni di telespettatori e nei suoi splendidi reportage su “la Repubblica” e “L'Espresso”, ma la contaminazione tra verità storica e giudiziaria e fascinazione letteraria, in una materia così delicata, con tutti i risvolti di ordine pubblico e sicurezza che ne derivano, rischia di generare atmosfere immaginifiche che non hanno alcuna aderenza con la realtà. Penso, ad esempio, a quando lo scrittore cita – e lo fa con una certa frequenza – la leggenda che vorrebbe la carcassa di una balena sepolta nella discarica di Pianura, un quartiere della periferia di Napoli. I toni che usa Saviano sono davvero molto suggestivi e sembra quasi di vederlo questo novello Capitano Achab che, in una fetida bettola del porto, contatta camorristi e faccendieri perché facciano sparire quella montagna di grasso e di carne putrescente, rimasta impigliata in una rete da pesca, che ondeggia – cullata dalla marea – al largo del golfo di Napoli. Ma come, ci si chiede alla fine della storia, a Napoli pure le balene finiscono nelle discariche? E se ci finisce Moby Dick figuriamoci cos'altro nasconde lo stomaco di madre natura, in quelle zone...
La vicenda – a ben vedere – è un po' meno fantasiosa, ma non per questo meno drammatica di come la racconta Saviano: c'è davvero una balena nella discarica di Pianura. Non è una leggenda, né un racconto passato di bocca in bocca tra gli abitanti del quartiere, come si faceva tra gli indiani d'America. Il cetaceo – lungo 7 metri e pesante otto tonnellate, arenatosi al largo dell'isola di Ischia – viene interrato nel sito perché l'operazione la autorizza l'allora assessore comunale alla Sanità, Giuseppe Scalera. L'ordinanza municipale è del 17 luglio 1989. E, a quell'epoca, questa soluzione la condividono Comune, Regione e Prefettura.
La domanda, allora, non è: davvero c'è una balena nella discarica? Ma: perché c'è una balena nella discarica?
(Pubblicato su "Il Tempo", 25 novembre 2010)

Rifiuti, contro-inchiesta/1

Caro Direttore,

l'ultima puntata della trasmissione “Vieni via con me” e, in particolare, il lungo monologo di Roberto Saviano sull'emergenza rifiuti in Campania possono essere riassunti secondo questo semplice schema: Napoli sta soffocando nell'immondizia perché le discariche sono state saturate dai clan, che le hanno riempite col pattume del Nord. A sostegno di questa tesi, che in realtà pare molto di più un assioma, Saviano snocciola dieci inchieste della magistratura che, dal 1993 al 2009, hanno dimostrato la responsabilità del sistema industriale settentrionale nella crisi ambientale che, a mesi alterni, infuria alle nostre latitudini. Inchieste note a chi fa il mio mestiere, di cui i giornali si occupano da tempo e che non dicono nulla di nuovo. Inchieste che in alcuni casi (vedi Cassiopea, iniziata nel 1999 e nel 2010 ancora ferma all'udienza preliminare) sono tuttora in corso, o che – addirittura – sono state ridimensionate nell'impianto accusatorio.
La “narrazione” televisiva di Saviano assomiglia molto a ciò che descrive Umberto Eco nel suo bellissimo “Il Cimitero di Praga”: basta prendere un po' personaggi loschi e misteriosi e farli radunare in un luogo oscuro ed ecco pronto un Complotto utile ad ogni esigenza.
Il Complotto descritto da Saviano è un triangolo formato da massoni, imprenditori (possibilmente del Nord) e camorristi. Purtroppo, la storia non è così semplice. E, forse, qualche dato in più aiuterà a completare quella parte di storia che Saviano non ha avuto modo di raccontare lunedì sera.
È vero che le grandi aziende del Settentrione hanno spesso utilizzato la Campania come pattumiera, ma forse – per amore della verità e per non lasciare un alibi a quella indecente classe dirigente che ci ha governato negli ultimi venti anni – sarebbe doveroso ricordare che esiste anche un altro circuito ecomafioso che nasce e si sviluppa interamente all'interno dei confini campani. Prove? Eccole: il 21 febbraio del 1996, la polizia scopre che nella zona di Acerra sono state sversate tonnellate di resine e di altri rifiuti tossici provenienti dalle aziende della provincia di Napoli. Il 4 novembre 2005, i carabinieri si accorgono che nelle campagne dell'agro-aversano e del litorale domizio sono stati interrati i rifiuti pericolosi prodotti dagli impianti di depurazione di Capri e della penisola sorrentina, oltre che dai siti di Salerno e Acerra. L'11 maggio 2006, la procura di Benevento indaga su 50mila tonnellate di scorie pericolose, provenienti dalle province di Avellino e Salerno, smaltite nelle campagne e nei fiumi del Sannio. Si replica il 4 luglio dello stesso anno, con un blitz dei carabinieri del Noe in provincia di Caserta, dove 4 aziende nascondevano sotto terra i fanghi dei depuratori di Licola, Orta di Atella, Marcianise e Mercato San Severino. E ancora: l'11 settembre 2007, la magistratura s'imbatte in un traffico di rifiuti di inerti e materiale di risulta e amianto e sostanze bituminose, prodotti nel Napoletano, “occultati” nei cantieri della Tav. In tutte queste operazioni, il Nord non c'entra nulla. Perché non se ne parla? Anche questi signori sono dei delinquenti e anche loro hanno contribuito ad avvelenare il nostro territorio. Anzi, non solo il nostro, perché – sempre spulciando tra le inchieste di questi ultimi dieci anni – emerge chiaro un altro dato, di cui non si è parlato a “Vieni via con me”: anche dalla Campania sono partite decine, centinaia di camion carichi di rifiuti pericolosi da nascondere nelle pance delle altre regioni, vicine e lontane. Ecco un po' di esempi: in Abruzzo, tra il 1992 e il 1998, vengono denunciate 34 persone per traffico illegale di rifiuti dal Napoletano e dal Casertano; in Puglia, invece, nel blitz del 13 maggio 2002, di indagati, ce ne sono due dozzine. E non è tutto: il 23 marzo 2006, il gup di Milano condanna otto persone per traffico illecito di rifiuti dalla Campania alla Puglia, con pit-stop in Lombardia e in Emilia Romagna. Sempre dal Napoletano, è l'inchiesta del 10 marzo 2007 a dirlo, provengono i rifiuti tossici che sono stati rivenduti e smaltiti illecitamente da tre aziende di Brescia e di Udine. E altre 100mila tonnellate di pattume campano vengono fatte ingoiare alle campagne delle Marche (inchiesta “Ragnatela” del 17 luglio 2007, 21 indagati a piede libero). Anche queste sono notizie.
Altro dettaglio: pure al Nord ci sono discariche abusive di rifiuti tossico-nocivi. Lo dice, nel 1995, il secondo rapporto Legambiente sulle ecomafie: bubboni mefitici vengono individuati in Piemonte (Ciriè, Piossasco e Tortona) e in Lombardia (Dredano e Lacchiarella).
Dire che è tutta colpa del Nord in combutta con la camorra non aiuta a capire le dimensioni del fenomeno, perché poi – alla fine – i vari Bassolino e Iervolino (di cui Bertolaso lasciò questa “meritoria” immagine, quando si ritrovò da solo nel 2007 a fronteggiare un'ondata di spazzatura sulla Campania: “Nessuno mi aiutava, Bassolino e la Iervolino si erano sfilati e io avevo solo due interlocutori: il cardinale Sepe e la Procura”) sono autorizzati a sostenere di non aver avuto alcuna colpa, in tutta questa schifezza.
Certo, non è colpa della camorra se la differenziata non decolla, non è colpa dei clan se il Commissariato per l'emergenza rifiuti ha bruciato due miliardi di euro, senza risolvere nulla. Forse, parlando di rifiuti, più che incolpare Sandokan o i Casalesi (che pure hanno le loro colpe, per carità...) sarebbe più utile fare riferimento alle parcelle d'oro e ai milioni a palate che sono stati distribuiti dal Commissariato per consulenze e incarichi esterni, come il super-stipendio da 413 euro al giorno corrisposto a un ragioniere non iscritto all'Albo.
Forse, sarebbe il caso di ricordare che il procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore, il 16 novembre scorso, davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sulle ecomafie ha detto, a proposito dell'emergenza di queste settimane: “In questo caso non si tratta di camorra, è una inefficienza della gestione del ciclo dei rifiuti che dura ormai da venti anni”.
Forse, sarebbe il caso di fare qualche nome e, soprattutto, qualche cognome.
(Pubblicato su "Il Tempo", 23 novembre 2010)

venerdì 19 novembre 2010

Antonio Iovine, in trappola il boss dei boss

E' il sorriso – amaro – della sconfitta quello che il boss della camorra, Antonio Iovine, ostenta all'uscita della Questura di Napoli, circondato dai poliziotti e da decine di fotografi e cameraman, un'ora appena dopo la cattura, avvenuta in una villetta di Casal di Principe, in provincia di Caserta. Iovine – soprannominato “'o ninno”, “il poppante”, perché fin da giovanissimo destinato dalle insondabili ragioni del potere mafioso alla successione di una delle “famiglie” più temute del panorama criminale italiano – si è arreso agli investigatori da vero capoclan, dopo aver tentato la fuga da un terrazzo. Agli agenti che lo hanno circondato, ha confermato le proprie generalità e ha chiesto di non voler perdere tempo a mostrare loro i documenti. “Sono io, è inutile che me lo chiediate”, ha detto ai poliziotti. Insieme a lui è finito in manette per favoreggiamento anche un incensurato, Marco Borrata, che ne avrebbe curato la latitanza, ospitandolo nella sua abitazione.
Condannato all'ergastolo nel maxiprocesso Spartacus, Iovine è considerato la mente finanziaria dei Casalesi, il boss-imprenditore, capace di movimentare e di gestire affari da decine e decine di milioni di euro all'anno, in collaborazione con l'altro superlatitante casertano, Michele Zagaria, con cui fu protagonista di un clamoroso episodio finito agli atti di un'inchiesta antimafia. I due boss telefonarono infatti a un giornalista di un quotidiano locale per chiedergli di smentire alcune notizie di cronaca nera a loro dire calunniose.
Originario di San Cipriano d'Aversa – uno dei tre paesi, insieme a Casapesenna e Casal di Principe, appunto, dove secondo la leggenda bisogna essere nati per aspirare al ruolo di boss dei boss della camorra casertana -, Antonio Iovine era ricercato da oltre quattordici anni ed era inserito nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi d'Italia, al pari di Matteo Messina Denaro e dei grandi capi della 'Ndrangheta calabrese.
Il suo ruolo di stratega economico-finanziario della cosca è stato ricostruito dalle inchieste condotte dalla magistratura napoletana e dal pool anti-casalesi guidato dal procuratore aggiunto Federico Cafiero De Raho. Un lavoro inquirente fatto in silenzio e con grande professionalità, che a poco a poco ha indebolito il sistema di protezioni e connivenze di cui il malavitoso si era circondato. L'ultima sciabolata è stata inferta il 26 maggio 2008, con un maxi-blitz che smantellò la rete di porta-ordini del boss, in cui rimase coinvolta anche la moglie, Enrichetta Avallone. Nell'abitazione di Iovine, gli investigatori trovarono pellicce, mobili di lusso, orologi e gioielli di valore che non fu possibile però sequestrare perché ogni oggetto era accompagnato da un bigliettino di auguri che ne dimostrava la lecita «provenienza». Erano regali di amici e conoscenti per “'o ninno”.
Sulle modalità della cattura, si è espresso il procuratore della Repubblica, Giovandomenico Lepore, sottolineando nel corso di un'apposita conferenza stampa la copertura offerta a Iovine dalla gente del posto, mentre il capo della Squadra mobile, Vittorio Pisani, ha spiegato che gran parte del lavoro investigativo si è basato su pedinamenti e intercettazioni ambientali e telefoniche. Per il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, “il prestigio di Iovine è crollato e adesso la sua organizzazione perde credibilità”.
La notizia dell'arresto del padrino, giunta nel giorno della polemica a distanza tra Roberto Saviano e il ministro dell'Interno Maroni sulle dichiarazioni dello scrittore riguardo ai rapporti tra Lega Nord e 'Ndrangheta durante la trasmissione “Vieni via con me”, è stata salutata anche dal mondo politico con unanime parole di grande apprezzamento per l'operato delle forze dell'ordine e della magistratura. Per il titolare del Viminale, si “tratta di una bellissima giornata per la lotta alla mafia”, mentre il presidente del Senato e quello della Camera hanno inteso soffermarsi sui risultati raggiunti nella lotta alla criminalità organizzata. “Anche questa ulteriore cattura dimostra che lo Stato c'è e che le Istituzioni sono unite nella lotta al crimine”, ha detto Renato Schifani, mentre Gianfranco Fini ha ribadito che “la lotta alla criminalità organizzata è uno degli obiettivi primari cui tendere, senza mai abbassare la guardia”.
Il Guardasigilli, Angelino Alfano, ha invece annunciato di essere pronto, fin da subito, a firmare la richiesta di regime di carcere duro nei confronti del capo-camorra: “Una ulteriore conferma - ha aggiunto il ministro della Giustizia - che la squadra Stato vince e l'antimafia giocata batte quella parlata”.
(Pubblicato su "Il Sole24Ore" del 18 novembre 2010)